Il navigatore solitario mette in discussione la flotta

Mi sono chiesto in queste settimane come mai la conversazione fosse diventata improvvisamente così difficile. Perché, dall’inizio della pandemia, ogni ragionamento venisse ascoltato con fastidio, quando non rifiutato. Pensare in modo diverso, era pensare male.

Certo, si potrebbero trovare tante scuse – la paura, l’incertezza, la condizione di isolamento dovuto al lock down – ma credo ci sia un altro fattore, molto più generale. Userò una analogia per spiegarmi meglio.

Pensate a una flotta di navi che si muovono liberamente nel mare. Ognuna segue la sua direzione favorita. La terra è lontana e non si vede. Non ci sono punti di riferimento. Nessuno può dire di essere più importante degli altri. Poi si alza un forte vento, un vento che si chiama paura. Improvvisamente molte navi sono spinte nella stessa direzione. Si crea l’impressione che quelle navi, che vanno tutte in una direzione, siano in realtà ferme. Chi invece è rimasto fermo, o si sposta in direzione contraria, improvvisamente, diventa cospicuo.

A questo punto una cosa curiosa è questa, è il movimento della nave isolata – del diverso, dell’outlier – che provoca un disallineamento di tutte le barche. È il concetto di velocità relativa, caro ai fisici dai tempi di Galileo. Non essendoci una velocità assoluta, il fatto che qualcuno si muova, di moto autonomo e indipendente, rispetto all’insieme delle barche, automaticamente mette in discussione la loro ortodossia, crea un movimento relativo dell’insieme. Il pensatore diverso, insomma, rivela che la presunta ortodossia delle barche, il loro movimento combinato, altro non è che un momentaneo accordo nato dalla spinta del vento.

Quindi il fastidio non nasce dalla particolare posizione assunta nella discussione pubblica, dipende soprattutto dalla inaccettabilità dell’esistenza dell’alternativa. Il movimento di una sola persona mette in discussione l’intero sistema di pensiero perché questo sistema non è appoggiato sulla terra ferma, ma si muove senza una reale ancora con la terraferma. E i naviganti che si sentono parte della flotta dell’ortodossia, in fondo, lo sanno benissimo, ma non lo vogliono ammettere.

È la consapevolezza (spesso taciuta) della flotta di essere solo un momentaneo e convenzionale aggregato di barche che viene sbugiardata dalla esistenza di una sola nave su una rotta personale.

Ci potrebbero essere due strategie per uscire da questa situazione.

Nella prima, quella virtuosa, i naviganti sulle barche riconoscono di non avere basi assolute e accettano la relatività di ogni posizione. Ma questo non è possibile perché molti pretendono di avere una fonte assoluta di certezza. I naviganti potrebbero anche accettare di cambiare direzione, ma solo se lo facessero tutti insieme, in modo da non mettere a rischio la loro fiducia nel sistema, garanzia di assolutezza delle loro convinzioni. Questo però non potrebbe andare bene: minerebbe le loro convinzioni più profonde.

Nella seconda, invece si punta alla eliminazione del navigante autonomo: poiché è la sua stessa esistenza (al di là della correttezza della sua direzione) che mette in discussione il sistema. Il navigante autonomo, che poi sarebbe il pensatore critico, è la sua esistenza che deve essere risolta con la sua eliminazione. La flotta compatta dei naviganti mette così in azione tutti gli strumenti a sua disposizione per non doversi confrontare con il diverso perché la possibilità stessa del confronto sarebbe una ammissione di non essere la verità. Tra i metodi preferiti si possono citare: l’isolamento, la derisione, la difficoltà pratica nell’accedere ai media, gli attacchi personali, la fallacia ad hominem, l’ostracismo, le accuse di non essere moralmente adeguato, di avere fini personali, di mancanza di sincerità, di non possedere competenze adeguate e, sostanzialmente, di non seguire la direzione della flotta. Alla fine l’accusa principale è proprio quella che rivela gli intenti totalitari della flotta:

il navigante solitario è sicuramente in torto proprio perché solitario.

La sua colpa è ciò che da fastidio: la sua stessa esistenza. Una opzione molto comoda per chi si riconosce nella ortodossia.

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